Abbiamo già affrontato in passato la vicenda che ha visto artefice di presunti illeciti la Banca Popolare di Bari. Questi gli sviluppi.
Sono 176 gli investitori della BPB “particolarmente vulnerabili”, dice la Procura,“indotti, mediante artifizi e raggiri, nonché approfittando della particolare situazione di vulnerabilità, all’acquisto di prodotti finanziari illiquidi e ad elevata rischiosità emessi dal predetto istituto bancario”.
Le loro denunce hanno portato alla luce una presunta truffa da 8 milioni di euro, commessa nel periodo 2014-2015.
Al centro della vicenda, investimenti basati sulla scorta di informazioni poco chiare e questionari predisposti ad arte con i quali si delineavano i profili di clienti in grado di sopportare un rischio medio-alto.
In sintesi “gli indagati non avrebbero fornito agli investitori notizie appropriate per effettuare consapevolmente le proprie scelte di investimento”.
Inoltre, sarebbe stata omessa la raccolta di tutte le informazioni necessarie ai fini della valutazione dell’adeguatezza dello strumento finanziario da collocare in relazione all’esperienza, alla conoscenza e agli obiettivi di investimento della clientela; la consegna ai clienti dei documenti previsti per legge e l’adeguata informazione sulla natura illiquida e particolarmente rischiosa del titolo, non negoziato su mercati regolamentati e caratterizzato da un’alea, che doveva essere specificatamente rappresentata.
Un raggiro che è stato in grado di creare perdite vertiginose e che vede coinvolte 88 persone, tra organi di vertice e responsabili di filiale destinatari di altrettanti avvisi di conclusione delle indagini preliminari con l’accusa di truffa.
Si tratta dei vertici della vecchia gestione della BpB e dei responsabili delle filiali dell’istituto di credito. Tra questi Marco Jacobini, presidente del Cda, suo figlio Gianluca, dg assieme a Vincenzo De BustisFigarola, l’Ad Giorgio Papa e il funzionario Gianluca Bonerba. I primi tre sono definiti negli atti “determinatori del disegno criminoso” messo in atto con direttive e delibere che risalgono anche a 10 anni fa.
L’indagine attuale fa seguito a quella già avviata nel 2019, quando la Procura di Bari iscrisse nel registro degli indagati per concorso in bancarotta due ex manager della Banca Popolare di Bari coinvolti nell’inchiesta sul crac delle società del gruppo Fusillo di Noci (Bari).
Secondo l’ipotesi dei pm, la banca avrebbe contribuito al dissesto delle società continuando a erogare credito quando le imprese erano già in crisi, aumentandone così i debiti.
All’epoca, le indagini della Guardia di Finanza consentirono “di far emergere il ruolo della Banca Popolare di Bari quale principale creditore delle imprese sottoposte a procedura concorsuale, risultate esposte con l’istituto di credito per una cifra di poco inferiore ai 140 milioni di euro, a seguito delle ingenti linee di credito elargite negli anni”.
La banca, in sostanza, nonostante fosse creditrice di oltre 100 milioni di euro dalle società del gruppo Fusillo, all’epoca in procedura di concordato preventivo, nel marzo 2019 avrebbe erogato in loro favore nuova finanza per circa 40 milioni di euro.
Un “intervento estremamente oneroso - annotava la Gdf - che si aggiunge ai numerosi già effettuati in passato, sulla cui sostenibilità finanziaria appare necessario investigare”.