HUB Srl, un’immobiliare milanese ormai in bancarotta, ha attirato oltre 12 milioni di euro da risparmiatori convinti dalla promessa di lauti guadagni con operazioni immobiliari che – a quanto sembra – non sono mai state realizzate.
I nostri inviati di Banche & Finanza stanno lavorando su un’inchiesta per fare luce sul ruolo delle banche coinvolte nella gestione dei conti della società. Tra queste, spicca un nome: Banca Popolare di Sondrio che, a quanto pare, avrebbe movimentato fondi per conto di HUB in modo tutt’altro che marginale.
Secondo i primi riscontri, la banca avrebbe gestito somme indirizzate dalla fallita HUB Srl in favore della sua controllata Pelide Srl, altra società milanese, anch’essa fallita, conosciuta dagli investitori come il “braccio operativo” di HUB nella gestione degli immobili. Risulterebbero, inoltre, ingenti trasferimenti di danaro verso Hiram 2 srl, una società fiduciaria brianzola autorizzata ad operare anche all’estero, partecipata per l’intero da Hiram Activity Limited, quest’ultima londinese, entrambe amministrate dal medesimo soggetto.
Insomma, qualche domanda da fare ce l’avevamo e ne avremmo avuto tutte le ragioni.
Giovedì 7 novembre: il faccia a faccia
Giovedì 7 novembre, alle 14:00 ci presentavamo alla filiale della Banca Popolare di Sondrio Ag. Caneva 7 di via Cenisio n.60 a Milano, sperando di ottenere qualche chiarimento.
All’ingresso ci invitavano a ripassare alle 17:00 per parlare col direttore di filiale.
Dopo una lunga attesa, nella quale approfittavamo per fare uno spuntino, lo contattavamo per avere conferma dell’appuntamento ma ci chiedeva di anticipare l’oggetto dell’intervista: HUB srl.
La risposta? Con disarmante disinvoltura, il direttore dichiarava di non sapere nulla della questione e ci invitava a “inviare una mail alla direzione.”
Un invito che, alla luce di quanto accaduto in seguito, ci suonava più come una cortese esortazione a lasciar perdere.
Delusi, ma non scoraggiati, restavamo brevemente nei pressi della filiale per concludere alcune telefonate. Ma è qui che la situazione si tingeva di surreale: in pochi minuti, arrivavano due pattuglie della polizia e diversi agenti ci circondavano tanto da sembrare di voler gestire una situazione ben più “critica.”
I poliziotti ci chiedevano documenti e spiegazioni sulla nostra presenza, informandoci che erano stati allertati dai dipendenti della banca che, a quanto pare, si erano barricati dentro e non uscivano nonostante fosse terminato l’orario di lavoro. Sì, proprio così: barricati, temendo... domande?
Tra gli agenti, uno si calava nel ruolo di investigatore e ci diceva che avrebbe potuto finanche “perquisire” la nostra auto per “verificare che non ci fossero armi o peggio.”
Ben consci dell’assurda situazione in cui ci trovavamo, lo invitavamo a procedere, ma desisteva.
Nonostante avesse già verificato la nostra identità giornalistica, sembrava che ci volesse soprattutto ricordare chi avesse potere in quella circostanza.
Alla fine, l’agente più anziano e pragmatico si avvicinava e concludeva con una frase che ha risuonato come un epilogo ironico: “Le cose sono due: o ve ne andate o scriviamo”, riferendosi evidentemente a una presunta multa per sosta vietata che di lì a poco ci avrebbe contestato.
E ora le domande le facciamo qui
E’ possibile in Italia porre domande legittime senza essere trattati come “minacce”?
E che dire dell’art. 34 della Costituzione per cui “la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”?
E poi, parlare con i dipendenti di una banca è reato, o comunque è così grave da scatenare un intervento massiccio delle Forze dell’Ordine?
E, soprattutto, se davvero la Banca Popolare di Sondrio non ha nulla da nascondere, perché ha reagito in modo abnorme e scomposto?
Forse, in fondo, la loro reazione ci ha dato più risposte di quanto speravamo di ottenere, offrendoci ciò che cercavamo.
Lasciamo a voi, cari lettori, l’interpretazione.