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Vuoi trasferire il tuo conto corrente ma non sai come fare o hai paura di possibili ritardi o disservizi?
Nessun timore perché in questi casi il legislatore tutela il consumatore prevedendo un congruo indennizzo a nostro favore. Ecco come ottenerlo.
Avere un conto corrente ormai è diventato necessario per gestire al meglio il nostro denaro e le nostre spese. Avere i soldi su un conto ci consente di tenerli al sicuro, di versarli e di prelevarli in qualsiasi momento. Inoltre grazie al conto corrente possiamo fruire di tantissimi servizi come l’home banking. Inoltre potremmo effettuare i pagamenti con carte di credito, bancomat, assegni e bonifici. Peraltro l’intensificarsi della lotta al contante ha reso questi strumenti ormai indispensabili, avvicinando sempre più persone all’utilizzo della moneta elettronica. Inoltre grazie al bonifico istantaneo, se abbiamo dimenticato di pagare qualcosa, potremo pagare in pochissimi secondi, anche di sabato o domenica.
Tuttavia, potrebbe accadere che l’Istituto di credito dove abbiamo il conto non ci soddisfi più, non risponda alle nostre esigenze o non sia più conveniente. Ad esempio, può capitare che la banca apporti una modifica proprio a quelle condizioni contrattuali che ci avevano spinto a sceglierla. Come tutti i rapporti, anche quello con la propria banca può chiudersi. Molti tuttavia si preoccupano di eventuali atteggiamenti ostativi o di possibili difficoltà nel trasferimento del conto presso un’altra banca.
Come chiedere la portabilità o trasferimento su un altro conto corrente
Trasferire su un altro conto tutti o alcuni servizi di pagamento nonché il proprio saldo presso un altro operatore è un diritto di ogni consumatore. Si tratta della cosiddetta portabilità che non implica automaticamente la chiusura del tuo conto. Essa può essere verso un conto già esistente o un nuovo conto da aprire, sempre ovviamente, presso un operatore diverso.
Sul nuovo conto possono trasferirsi gli addebiti diretti, ovvero i pagamenti delle utenze o rate del mutuo, bonifici a terzi o in nostro favore come gli stipendi. Per alcuni pagamenti occorrono adempimenti specifici che sarà cura del nuovo operatore indicare. Per richiedere la portabilità, dovremo presentare la richiesta direttamente al nuovo operatore che dovrà attuare il trasferimento con la collaborazione del vecchio operatore. La richiesta vale anche come autorizzazione all’esecuzione del trasferimento e dovrà indicare il giorno dal quale dovranno attivarsi i servizi sull’altro conto.
Sanzioni salate se entro 12 giorni si è inadempienti
Se temiamo tempi lunghi da parte dell’Istituto di credito per soddisfare la nostra richiesta, niente paura perché il trasferimento dovrà attuarsi entro 12 giorni lavorativi. In caso contrario, la banca dovrà pagare un indennizzo per ogni giorno di ritardo. Questo termine decorre da quando il nuovo operatore riceve la nostra richiesta completa di tutte le informazioni necessarie. Nel caso in cui il trasferimento non si effettui correttamente o nei termini, spetterà un indennizzo fisso di 40 euro, oltre ad una maggiorazione.
Quest’ultima si calcolerà applicando al saldo disponibile presente sul conto al momento della richiesta, il tasso-soglia antiusura massimo del trimestre di riferimento. Poi la somma così ottenuta, si moltiplicherà per il numero di giorni di ritardo divisi per 365. La penale dovrà versarsi immediatamente dall’operatore responsabile. In mancanza o in caso di disservizi si potrà presentare un reclamo scritto. Per la banca arriveranno sanzioni salate se entro 12 giorni non soddisfa la richiesta del cliente.
Se a seguito del reclamo si resta insoddisfatti ci si potrà rivolgere all’ABF o all’autorità giudiziaria. Inoltre, qualora abbiamo subito danni dai disservizi o ritardi da parte della banca, anche di carattere non patrimoniale, si potrà richiedere il risarcimento dei danni. Nonché segnalare mediante un esposto eventuali comportamenti scorretti alla Banca d’Italia.
L'Arbitro Consob fa giustizia per i risparmiatori vittime delle azioni delle banche popolari divenute illiquide.
La decisione dell’arbitro Consob ha condannato la Banca Popolare di Puglia e Basilicata, nonostante che dal questionario Mifid facente riferimento al risparmiatore emergesse un profilo con esperienze consolidate in investimenti ad alto rischio, della cui effettiva congruità e attendibilità tuttavia non vi è traccia nelle documentazioni depositate nel corso del procedimento.
Come al solito le profilature Mifid erano predisposte al solo fine di poter vendere azioni emesse dalle banche popolari.
È lo stesso arbitro Consob a stigmatizzare la condotta della Banca scrivendo nelle motivazioni: “Censurabile, risulta, infatti, la condotta dell’intermediario per il fatto che – nello svolgere il servizio di consulenza contrattualmente previsto – non abbia ritenuto di proporre ai ricorrenti, in età avanzata già al momento della prima operazione, investimenti alternativi. Né si rintracciano in atti elementi giustificativi del fatto che quelli raccomandati, vale a dire strumenti di diretta emissione, rappresentassero la soluzione d’investimento preferibile nell’ottica di servire al meglio l’interesse del cliente, come sancito dall’art. 21 del TUF.”
Altro aspetto rilevato dall’Arbitro Consob è la concentrazione massima in strumenti finanziari emessi e collocati dalla banca.
La condanna al risarcimento consegue dunque all’accertamento della responsabilità dell’intermediario.
Doppia vittoria di Davide contro Golia. Una struttura alberghiera isolana ha visto riconosciute anche in appello le proprie ragioni nei confronti dell’ex Banco di Napoli (ora assorbita nel gruppo Intesa Sanpaolo).
Il contratto in derivati è denominato “interest rate swap”. In generale, gli swap sono contratti a termine che prevedono lo scambio a termine di flussi di cassa, calcolati con modalità stabilite alla stipulazione del contratto.
Questo sistema può permettere di annullare il rischio connesso per esempio alle fluttuazioni dei tassi di interesse o di cambio.
Tra questi contratti, l’Interest Rate Swap è il contratto swap più diffuso, con il quale due parti si accordano per scambiarsi reciprocamente, per un periodo di tempo predefinito al momento della stipula, pagamenti calcolati sulla base di tassi di interesse differenti e predefiniti.
Non c’è scambio di capitali, ma solo di flussi corrispondenti al differenziale fra i due interessi (di solito uno fisso ed uno variabile). Un’impresa può essere interessata a tale contratto per eliminare l’incertezza di un debito contratto a tassi variabili.
L’azienda che stipula un Interest Rate Swap preferisce avere la certezza di quanto dovrà pagare, per motivi di politica aziendale oppure perché ipotizza un rialzo dei tassi.
Lo scopo della banca è invece quello di incrementare i propri profitti: ne ottiene infatti subito un incremento derivante dalla intermediazione del prodotto derivato.
Chiusa la noiosa parentesi tecnica, va detto che nel 2018 il Tribunale aveva accolto la richiesta dell’albergatore condannando la banca alla ripetizione dei differenziali registrati in costanza di rapporto e liquidati in complessivi € 90.237,00 oltre gli interessi legali. Una somma non trascurabile dunque, ma la banca è ricorsa appunto in appello adducendo tre motivi che consistono nella “erronea declaratoria di nullità del contratto quadro inter partes, per asserita assenza della sottoscrizione del rappresentante legale della Banca (primo motivo); erronea declaratoria di nullità del contratto ex art. 1418, secondo comma, c.c. (secondo motivo); erronea declaratoria di nullità del contratto, per asserita violazione dell’art. 1322 c.c. (terzo motivo)”.
L’oggetto della controversia era un contratto “interest rate swap”, secondo i giudici d’appello la causa del contratto può essere considerata meritevole solo allorquando il rischio e l’alea che la caratterizzano siano state consapevolmente e razionalmente assunte dal contraente debole
La Terza Sezione Civile della Corte d’Appello ha ritenuto che il secondo e terzo motivo vadano rigettati finendo anche per privare il primo di ogni carattere decisivo.
Per i giudici della Corte, la funzione economico-sociale di questo strumento risulta essere meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico per la positiva funzione svolta nel mondo degli affari: consente, infatti, una maggiore liquidità nei mercati finanziari e favorisce lo sviluppo dei commerci rendendo possibile, attraverso lo schema contrattuale, gestire il rischio di interessi.
Mentre il debitore continuerà a pagare gli interessi ivi stabiliti al mutuante, la stipulazione di un contratto di swap svolgerà la funzione di neutralizzare gli effetti dell’evoluzione dei relativi tassi in base al meccanismo della regolazione fra i contraenti, ad ogni scadenza, delle differenze di segno opposto, positive o negative, sulla base dell’applicazione delle clausole contrattuali. In tal modo, il debitore continuerà a pagare gli interessi sul mutuo, ma, se il tasso previsto dallo swap risulterà essere a suo favore, riceverà importi dall’intermediario finanziario che contribuiranno a bilanciare quelli maggiormente versati al mutante quali interessi sul mutuo. Al contrario, se, in base al tasso previsto dallo swap, matureranno importi in favore dell’intermediario finanziario, il debitore, oltre a pagare i normali interessi sul mutuo, dovrà sostenere anche il pagamento di questi importi, con un ulteriore aggravio della sua situazione finanziaria.
Il sistema di contrasto che lo Stato ha opposto alla criminalità in materia di reati contro le banche ed i loro clienti regge: le rapine e gli attacchi ai dispositivi ATM delle banche calabresi sono stati praticamente azzerati.
É quanto emerso dalle dichiarazioni di Marco Iaconis, coordinatore Ossif, il centro ricerche creato dall'Abi sulla sicurezza ed il facility management, a margine della firma che nella prefettura di Catanzaro ha rinnovato il protocollo sicurezza. A siglare il patto anche il rappresentante di governo Enrico Ricci secondo cui «tutte le banche della provincia hanno aderito all'accordo che spazia tra tutti i reati contro gli istituti ed i loro clienti».
Il protocollo individua misure collaudate come videosorveglianza all’interno ed all’esterno delle banche, dei loro ATM (bancomat), misure legate alla cybersicurezza, alla formazione, al coordinamento tra banche e forze di polizia. I dati relativi alle informazioni nate dalla collaborazione Abi-forze di polizia saranno analizzate in sede di Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica di Catanzaro.
La sentenza della Corte UE sul crac di Banca Marche non lascia dubbi: per i giudici la Commissione europea non può essere ritenuta responsabile di averne impedito il salvataggio e di conseguenza ha confermato la sentenza del Tribunale Ue.
Quest’ultimo, nel giugno del 2021, aveva respinto il ricorso presentato dalla Fondazione della Cassa di Risparmio di Pesaro e da altre quattro banche marchigiane. Come evidenziato dal Resto del Carlino, i giudici avevano rigettato la richiesta di risarcimento dei danni provocati dalla Commissione europea nell’impedire il salvataggio della Banca delle Marche da parte del Fondo interbancario di tutela dei depositi.
Ripercorrendo le tappe della vicenda, Banca Marche è stata messa in amministrazione staordinaria nell’ottobre del 2013. I commissari hanno provato a superare la crisi con un intervento di sostegno da parte del Fondo interbancario di tutela dei depositi.
La commissione ha dunque indirizzato quattro lettere alle autorità italiane, rimarcando che tale intervento avrebbe potuto contribuire un aiuto di Stato e che sarebbe stato opportuno aprire una procedura formale per l’approvazione europea.
Vista la situazione emergenziale, Bankitalia ha avviato una procedura di risoluzione di Banca Marche. Un analogo intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi a favore di un’altra banca, la Tercas, è stato censurato dalla Commissione in quanto aiuto di stato illegale e incompatibile con il mercato interno. Ma quest’ultima decisione è stata annullata dalla Corte di Giustizia, ribadendo l’insussistenza di un aiuto di Stato. Per questo motivo le banche interessate hanno adito il tribunale Ue.
Ma questo nel giugno 2021 ha stabilito che non esiste un nesso causale “sufficientemente diretto” tra il comportamento ritenuto illecito della Commissione ed il pregiudizio dedotto dalle ricorrenti. Riassumendo, secondo i giudici, la risoluzione di Banca Marche da parte delle autorità itlaiane sarebbe stata determinata dal suo stato di dissesto.
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