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Quando la banca o il creditore non cancella l’ipoteca entro i termini previsti, è possibile chiedere un risarcimento? Scopriamo cosa dice la legge e come agire in questi casi.
Spesso succede che, nonostante il pagamento fatto dal debitore, il creditore si disinteressi di cancellare l’ipoteca che aveva iscritto a suo carico. Ciò avviene, il più delle volte, con le banche a estinzione del mutuo. Indubbiamente l’esistenza dell’ipoteca non pregiudica l’utilizzo dell’immobile da parte del debitore ma potrebbe impedire di trovare offerenti per una eventuale compravendita. Solo in questo secondo caso si produce un danno effettivo e concreto, così come la legge richiede che sia per poter intraprendere azioni risarcitorie. In questo articolo vedremo se, in caso di mancata cancellazione dell’ipoteca, si può richiedere un risarcimento. Analizzeremo la normativa di riferimento e le azioni da intraprendere in caso di inadempienza da parte della banca o di qualsiasi altro creditore.
La normativa che regola la cancellazione dell’ipoteca è l’articolo 40-bis, secondo comma, del Dlgs 385/1993 (Testo unico legge bancaria). Secondo tale norma, la banca è tenuta a rilasciare al debitore una quietanza che attesti l’estinzione del mutuo e a comunicare tale informazione al Conservatore dei Registri Immobiliari entro 30 giorni dalla data di estinzione, senza oneri per il debitore.
Se la banca non ha provveduto alla cancellazione dell’ipoteca entro il termine previsto, è possibile inviare una lettera raccomandata con avviso di ricevimento o una PEC, mettendo in mora la banca e invitandola ad adempiere alle formalità dovute.
La legge non prevede specifiche sanzioni in caso di ritardo nell’adempimento delle formalità relative alla cancellazione dell’ipoteca. Tuttavia, se la mancata cancellazione impedisce la vendita dell’immobile o l’iscrizione di un’altra ipoteca a garanzia di un altro finanziamento, è possibile richiedere il risarcimento dei danni conseguenti alla mancata cancellazione, purché questi siano dimostrabili. Naturalmente però le prove di ciò devono essere fornite dal debitore al quale non basterà quindi semplicemente far rilevare, in un eventuale giudizio, il ritardo compiuto dal creditore nella cancellazione dell’ipoteca. Il nostro ordinamento infatti riconosce la possibilità di un’azione risarcitoria solo in presenza di un danno concreto, attuale, effettivo e soprattutto dimostrabile.
Per richiedere un risarcimento, occorre innanzitutto mettere in mora la banca, come descritto al punto 2. Successivamente, è necessario avvalersi di un avvocato affinché avvii una causa civile contro il creditore. Nell’ambito del giudizio, come anticipato, spetta al debitore dimostrare i danni subiti a causa della mancata cancellazione dell’ipoteca, come la perdita di un’opportunità di vendita dell’immobile o l’impossibilità di ottenere un altro finanziamento.
Se la banca non risponde alla messa in mora o continua a non adempiere alle formalità relative alla cancellazione dell’ipoteca, è possibile rivolgersi a un avvocato per valutare l’opportunità di intraprendere un’azione legale nei confronti dell’istituto di credito.
I tempi per ottenere la cancellazione dell’ipoteca possono variare a seconda dei casi e delle circostanze. Tuttavia, la normativa prevede un termine massimo di 30 giorni dalla data di estinzione del mutuo per l’adempimento di tale formalità da parte della banca.
Anche il cliente può chiedere la cancellazione dell’ipoteca, sostenendone le spese. Per richiedere la cancellazione dell’ipoteca è tuttavia necessario disporre della quietanza rilasciata dalla banca, che attesta l’estinzione del mutuo. Tale documento deve essere trasmesso al Conservatore dei Registri Immobiliari competente per territorio.
L’entità del risarcimento sarà determinata in base ai danni effettivamente subiti e dimostrabili a causa della mancata cancellazione dell’ipoteca. Ad esempio, potrebbero essere considerati la perdita di un’opportunità di vendita dell’immobile, l’impossibilità di ottenere un altro finanziamento o eventuali spese legali sostenute per ottenere la cancellazione dell’ipoteca.
Sembra che si sia scoperchiato il vaso di pandora nelle vicende che hanno visto Invest Banca consentire a IBS Forex di operare abusivamente.
Sembra che si sia scoperchiato il vaso di pandora nelle vicende che hanno visto IBS Forex operare abusivamente tramite Invest Banca.
La vicenda del rastrellamento di milioni di capitale di investitori retail su tutto il territorio nazionale, ad opera di procacciatori d’affari che agivano su mandato di IBS Forex è ormai nota da oltre un decennio.
I collaboratori non qualificati di IBS Forex contattavano capillarmente sul territorio nazionale, famiglie, professionisti, piccoli imprenditori, pensionati, promettendo loro alti rendimenti sui risparmi investiti (sino all’8% - meglio dei titoli di stato - dicevano). La gestione dei capitali raccolti era ad opera della stessa IBS Forex , una finanziaria comasca che operava nei mercati dei cambi delle valute, non autorizzata a tale operatività di gestione di patrimoni, che a sua volta aveva sottoscritto una convenzione con Invest Banca per l’apertura dei conti correnti dei clienti e per il deposito e la raccolta delle somme investite.
L’operazione di investimento, così, poteva sembrare di emanazione bancaria, visto che Invest Banca operava con IBS Forex in co-branding, come ad esempio lo dimostravano le cartelline cointestate che contenevano i contratti.
Invest, dal canto suo, apriva ai clienti di IBS Forex conti correnti dedicati ai singoli investimenti e raccoglieva le autorizzazioni dei clienti stessi per consentire a IBS di prelevare somme effettuando giroconti in favore del proprio conto corrente aziendale, sempre tenuto presso Invest Banca.
Così facendo, per l’Avv. Giovanni Spinapolice, Managing and Founder partner della Law Firm Spinapolice&Partners di Roma, la banca ha consentito a IBS, operatore non abilitato da Banca d’Italia alle gestioni patrimoniali, di appropriarsi dei capitali dei propri clienti convogliati su di un unico conto aziendale in confusione patrimoniale.
La Banca, difesa dalla Law Firm Gianni Origoni e Partners, dichiaratasi estranea alla vicenda per il suo corretto operare, in quanto non tenuta a sapere dell’abusiva operatività di IBS Forex, è stata condannata nuovamente dalla Corte di Appello di Firenze a cui aveva ricorso dolendosi della sentenza di condanna già ricevuta in primo grado dal Tribunale.
Viene confermata, così, anche in grado di appello la responsabilità dell’Istituto per tutti i danni subiti dagli investitori di IBS Forex, transitati dall’Istituto medesimo (è di un paio di mesi fa un’altra condanna ad opera del Tribunale di Firenze di cui abbiamo parlato in un nostro precedente articolo).
La sentenza di appello ha, inoltre, rincarato la dose, liquidando oltre al danno patrimoniale costituito dall’intero investimento andato perduto da ciascun investitore, anche il danno non patrimoniale nella misura del 25% del danno patrimoniale, aumentando, così, quello precedentemente stabilito dal Tribunale nel 10%.
L’Avv. Giovanni Spinapolice, si dice molto soddisfatto della sentenza che ha fatto un’altra volta giustizia di un comportamento censurabile degli operatori della finanza in danno dei numerosi piccoli investitori (oltre 40 nel giudizio in commento) che avevano perduto tutti i propri risparmi per aver riposto fiducia nel sistema bancario.
Un duro colpo per l’Istituto, aggiungiamo noi, che dovrà risarcire e garantire capienza di cassa per ristorare il danno patrimoniale, quello non patrimoniale, gli interessi e le spese.
Vedi Sentenza n. 1621/2020 pubbl. il 02.09.2020 RG n. 1547/2016
Il Tribunale civile di Firenze, con sentenza n. 1156/2020 del 22.05.2020, ha condannato nuovamente Invest Banca perché ritenuta responsabile con la fallita Ibs Forex dell’intero capitale investito nel Forex da un risparmiatore, andato interamente perduto.
La vicenda. Nel Maggio del 2009 un professionista contattato da un procacciatore veniva convinto ad investire centinaia di migliaia di euro presso la finanziaria Ibs Forex, in quanto tale investimento si presentava il più sicuro e redditivo, rispetto agli altri (addirittura redditività fino all’8%).
Le modalità dell’operazione, uguale per tutti i clienti di Ibs Forex e di Invest Banca, erano le seguenti. L’investitore doveva aprire un conto corrente dedicato presso Invest Banca e sottoscrivere due lettere di vincolo con le quali autorizzare Ibs Forex a prelevare in ogni momento le somme occorrenti all’investimento. Versati i soldi la finanziaria comasca li prelevava e li girocontava a se stessa, su di un conto omnibus aziendale, sempre interno all’Istituto stesso. Di lì poi il passo era breve per far perdere le tracce dei capitali all’estero (così come è stato accertato dal Tribunale Penale). Nel frattempo, la Ibs mandava ai propri clienti gli aggiornamenti sugli eccezionali rendimenti dell’investimento, finché i risparmiatori non hanno iniziato a chiedere di ritirare le somme investite. Di lì, per costoro non è stato più possibile recuperare alcunché e si è scoperto che ben 60 milioni di euro erano finiti nel nulla.
Il malcapitato professionista si rivolgeva allo studio Spinapolice&Partners di Roma e, patrocinato dall’Avv. Giovanni Spinapolice, ha intentato causa alla Invest Banca Spa, difesa dalla studio Origoni & Partners, chiedendo la condanna della Invest Banca al risarcimento dei danni patrimoniali derivanti dal mancato recupero delle somme investite e da quelli morali per i particolari profili di responsabilità emersi nella vicenda.
In particolare, secondo la tesi dell’attore, l’Istituto avrebbe commesso diversi illeciti, primo dei quali, l’aver permesso, adoperandosi come banca d’appoggio – operatività non concessa all’Istituto - di una finanziaria autorizzata ai sensi dell’art.106 TUB, di gestire i patrimoni dei suoi clienti, attività svolta abusivamente dalla stessa finanziaria che avrebbe potuto soltanto svolgere attività di intermediazione in cambi. Inoltre, l’aver consentito di far confluire diversi milioni di euro, appartenenti a diversi investitori, sullo stesso conto aziendale, ha inevitabilmente prodotto una confusione patrimoniale vietata anche per la normativa sull’antiriciclaggio. Infine, e non da ultimo essendoci altri illeciti lamentati dalla difesa del risparmiatore, i contratti di investimento erano da considerarsi nulli, perché illegali, e tale nullità ai sensi dell’art. 1294 c.c. travolge tutti gli altri negozi ad essi collegati, così come il contratto di conto corrente, che fa sorgere nel correntista il diritto a chiedere la restituzione di quanto versato a titolo ripristinatorio.
L’Istituto si è difeso adducendo la propria estraneità a tutta la vicenda e la correttezza del suo operato nell’aver dato seguito agli ordini della IBS Forex in forza delle autorizzazioni ricevute dal cliente con le lettere di vincolo.
Il Tribunale di Firenze, così come aveva già fatto in precedenza, in una causa identica dove lo studio romano aveva assunto la difesa di oltre 40 investitori, accogliendo le argomentazioni del professionista, ha riconosciuto responsabile la banca, condannandola alla restituzione dell’intero investimento perduto, agli interessi di legge e ai danni morali. L’Istituto ha appellato la sentenza.
Di seguito il testo integrale della sentenza.
A cura di Marco Ricci
Allegato: Sentenza n. 1156/2020 pubbl. il 22/05/2020 RG n. 16240/2018 Repert. n. 2587 /2020 del 22/05/2020
E’ un NO deciso quello espresso lo scorso 8 maggio dalla Corte di Cassazione con la Sentenza n. 12193. NO alla trascrizione in Italia dell’atto di filiazione per due minori nati in Canada da una coppia omosessuale, tramite la fecondazione medica assistita.
Sostanzialmente, il principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, stante il divieto della maternità surrogata, anche detta “utero in affitto”, di cui alla legge 40/2004, è la violazione di un principio di ordine pubblico che tutela due valori:” la dignità della gestante e l’istituto giuridico dell’adozione”…"la compatibilità con l'ordine pubblico, richiesta ai fini del riconoscimento dagli art. 64 e ss. della legge n. 218 del 1995 - ha spiegato la Cassazione - deve essere valutata alla stregua non solo dei principi fondamentali della Costituzione e di quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali, ma anche del modo in cui gli stessi hanno trovato attuazione nella legislazione ordinaria, oltre che dell'interpretazione fornitane dalla giurisprudenza". Infine, con la sentenza, viene anche precisato che "i valori tutelati dal predetto divieto, ritenuti dal legislatore prevalenti sull'interesse del minore, non escludono la possibilità di attribuire rilievo al rapporto genitoriale, mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici, quali l'adozione in casi particolari (prevista dall'art. 44 - comma primo - lett. d, della legge n. 184 del 1983)".
Il caso in questione proveniva dalla Corte di Appello di Trento che a febbraio 2017 aveva dato il nulla osta alla trascrizione in Italia di un atto della Corte di Giustizia dell’Ontario, che, in considerazione dell’”interesse superiore del minore”, aveva stabilito la genitorialità del secondo papà di due piccoli nati in Canada. un uomo che non ha legame biologico con i bambini, concepiti dall’altro partner della coppia omosessuale e da due donne, una che ha donato gli ovociti e un’altra che ha “prestato” il suo utero per portare avanti la gestazione.
La storia in esame riguarda due gemellini, un maschio e una femmina, nati in Ontario nel 2010 grazie alla fecondazione assistita. In Canada, infatti, le coppie omosessuali possono diventare genitori tramite la "gestazione per altri", in quanto la legge canadese non riconosce alla gestante la qualità genitoriale. I due padri, entrambi cittadini italiani, si sono poi sposati in Canada nel 2008 e hanno ottenuto dalla Corte canadese la genitorialità del secondo papà. Hanno poi chiesto che questo verdetto fosse riconosciuto anche in Italia.
A seguito dei ricorsi presentati dal Ministro dell’Interno e dal Sindaco di Trento, poiché era la prima volta che la Cassazione si trovava ad affrontare una vicenda del genere e data "la complessità e la rilevanza" della questioni, i giudici della prima sezione civile, con un'ordinanza del febbraio 2018, avevano trasmesso gli atti al primo presidente della Corte, affinché valutasse la trattazione del caso davanti alle sezioni unite.
La procura generale della Cassazione, in un’udienza svoltasi a novembre 2018, aveva quindi chiesto di annullare la sentenza d’appello, cosa ottenuta con la sentenza di ieri, che ha praticamente negato la validità nel nostro Paese del provvedimento del giudice canadese.
Come prevedibile, numerose e contrastanti sono state le immediate reazioni su un tema indubbiamente scottante, anche perché facilmente strumentalizzabile in chiave elettorale.
Se da un lato Toni Brande e Jacopo Coghe, presidente e vice presidente del Congresso Mondiale delle Famiglie e di Pro Vita e Famiglia, hanno espresso soddisfazione per questa sentenza, ritenuta decisiva a chiarimento che “le donne non sono incubatrici e i bambini non sono merce”, ma anche un po’ di preoccupazione in merito alla possibilità lasciata dalla Corte Suprema all’adozione particolare, Fabio Marrazzo, portavoce del Gay center, ha ribadito “l’urgenza di una legge che riconosca la genitorialità e la adozione per le coppie lesbiche e gay, che tuteli i minori fin dalla nascita”.
Quanto all'avvocato Alexander Schuster, difensore della coppia, ha asserito che "Da una parte, questa sentenza mette finalmente fine al dibattito, che ancora languiva in tali tribunali minorili, sull'utilizzabilità dell'art. 44 per le adozioni nelle coppie conviventi, anche dello stesso sesso. Dall'altra, il comunicato della Cassazione 'neutralizza' la questione, parificando il caso del secondo padre a quello della madre intenzionale, parlando genericamente di 'genitore intenzionale': questo è senz'altro positivo, perché dimostra che la difficoltà giuridica non dipendeva dal fatto che si trattasse di una coppia gay. Il problema, correttamente, è stato inquadrato prescindendo da sesso e orientamento sessuale…Salvo contenuti della sentenza che innovino sugli effetti di tale tipo di adozione, l'interesse dei minori non viene tutelato con un'adozione in casi particolari, che è un'adozione incompleta, non piena . Essa non pone il minore nella stessa posizione in cui si trova un figlio riconosciuto o trascritto. Per citare una discriminazione, i due gemelli non sarebbero fratelli rispetto al secondo padre, ma solo rispetto al padre genetico: fratelli per metà. Non hanno nonni rispetto al secondo genitore. In tal caso, alla famiglia trentina sarebbe possibile ricorrere alla Corte europea per i diritti umani con alta probabilità di successo".
Con una recente ordinanza, il Tribunale di Perugia ha sospeso l’efficacia esecutiva di un Decreto Ingiuntivo promosso da una banca nei confronti dei soli fidejussori omnibus (e non anche della debitrice principale), grazie al quale aveva ottenuto, appunto, la provvisoria esecutività del credito ingiunto.
In sede di opposizione, era stato contestato, oltre a varie carenze probatorie relative al rapporto principale, la nullità della fidejussione omnibus per violazione della normativa antitrust (L. 287/90), chiedendo sia la sospensione ex art. 649 c.p.c. per tutti gli opponenti sia la sospensione del giudizio di opposizione ex art. 295 c.p.c. per due degli opponenti, per i quali era già incardinata azione di nullità innanzi al competente Tribunale di Roma sez. Imprese.
Il GI, accogliendo tutte le eccezioni contestate, ha sospeso l’efficacia esecutiva del Decreto nei confronti di tutti i fidejussori/opponenti e la sospensione del giudizio per i due a favore dei quali è già incardinata la causa a Roma.
In particolare, è interessante sottolineare che il GI:
- riconosce la pregiudizialità del giudizio di nullità innanzi alla sezione Imprese su quello di opposizione al decreto ingiuntivo;
- riconosce la propria competenza a giudicare comunque l’eccezione di nullità, se proposta soltanto in via riconvenzionale nel proprio giudizio.
Il risultato positivo per i fidejussori è evidente!
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