Riforma del Codice Civile.

    Il Ministro Bonafede aveva anticipato già il mese scorso, nel corso di un incontro con i rappresentanti del Consiglio Nazionale Forense, dell’Organismo Congressuale Forense e dell’Associazione Nazionale Magistrati,  la volontà del Governo di procedere ad una legge delega per favorire la flessibilità del procedimento civile, razionalizzandone tempi e attività. 

    Nel corso del Consiglio dei Ministri del 28 febbraio scorso, il Governo ha approvato ben  dieci schemi di legge delega, tra i quali quello per una importante riforma del codice civile, la più sostanziosa dal 1942, anno di entrata in vigore dello stesso.

    Si spazia dai contratti prematrimoniali alle successioni, passando per contratti bancari e trust.

    I temi principali sono i seguenti:

    • Associazioni e Fondazioni
    • Patti familiari
    • Successioni
    • Contratti
    • Responsabilità
    • Garanzie del credito e trust

    Questa delega, come le altre nove, tutte su materie assai rilevanti, farà molto discutere e sarà oggetto di analisi tecniche approfondite.  Se le deleghe saranno approvate dal Parlamento, infatti, sarà il Governo il fulcro di tutte le attività necessarie per i numerosi, sostanziali cambiamenti previsti. Inoltre, in caso di approvazione, verrà istituita una Commissione permanente di esperti e giuristi, presieduta dal presidente del consiglio dei ministri, che avrà a disposizione 8 milioni di euro l’anno dal 2010, con il compito di assicurare la concreta attuazione delle misure previste.

    Ma vediamo in dettaglio i contenuti per singolo argomento.

    Associazioni e Fondazioni

    Centrale il tema del terzo settore, ad esclusione delle fondazioni bancarie, con l’aggiornamento delle procedure per il riconoscimento, i limiti allo svolgimento di attività a scopo di lucro e le procedure di liquidazione degli enti.

    Patti familiari

    Saranno possibili sia in caso di matrimonio che di unione civile per regolare i rapporti personali e patrimoniali delle parti, nonché l’indirizzo dell’educazione dei figli e dell’organizzazione familiare, in caso di crisi del rapporto.

    Successioni

    Prevista una semplificazione in linea con il certificato successorio europeo. La legittima sarà considerata quota del valore del patrimonio ereditario, garantita da privilegio speciale sugli eventuali immobili e comunque da privilegio generale sui beni mobili facenti parte dell’asse ereditario. Sarà inoltre possibile sottoscrivere patti successori che permettano la rinunzia irrevocabile di un soggetto a qualche bene particolare o alla successione tutta.

    Contratti

    Piuttosto dettagliato quanto previsto in materia contrattuale. In corso di trattativa, ad esempio, se una parte è a conoscenza di un’informazione rilevante e determinante per il consenso, sarà tenuta a comunicarla all’altra parte. Questo dovrebbe evitare il rischio di pratiche negoziali ingannevoli perché tali comportamenti scorretti, rilevabili d’ufficio dal giudice, determineranno la conclusione del contratto per invalidità dello stesso, soprattutto se in contrasto con i diritti fondamentali della persona umana.

    Responsabilità

    Nell’ipotesi di concorso, cumulo o sovrapposizione di responsabilità contrattuali, la delega prevede per il governo il compito di coordinare più razionalmente tali ipotesi. Dovrà, inoltre,  estendere le ipotesi di risarcibilità del danno non patrimoniale, al di là della rigida tipizzazione legislativa, introducendo criteri alternativi, correlati  al rango costituzionale degli interessi lesi.

    Garanzie del credito e trust

    E’ prevista una disciplina di nuove forme di garanzia del credito, considerate le prassi contrattuali consolidatesi in campo bancario e finanziario. Dovranno, infine, essere disciplinate nuove modalità di costituzione e funzionamento del trust e dei contratti di affidamento fiduciario tutti, per garantire un’adeguata tutela dei beneficiari. Sulla base degli schemi di decreto, saranno acquisiti i pareri delle commissioni parlamentari competenti per materia, che entro 45 giorni dovranno pronunciarsi in merito. Decorso tale termine, i decreti legislativi potranno comunque essere adottati. Inoltre, entro un anno dall’entrata in vigore dei decreti legislativi, il Governo potrà apportare disposizioni integrative e correttive.

     


    Il licenziamento leggittimo.

    L’abuso dei diritti da parte di taluni lavoratori è un problema serio sia dal punto di vista etico/sociale sia da quello aziendale.

    Per abuso della Legge n. 104/1992 s’intende, ad esempio, aver fruito di permessi in forza della legge medesima, non per assistere il familiare disabile, ma per fini personali, viaggi di piacere, ristoro, shopping o anche semplicemente ozio.

    Nel corso del 2018 la Corte di Cassazione si è pronunciata più volte in materia, chiarendo, senza ombra di dubbio, che i furbetti possono incorrere nel licenziamento.

    La recente ordinanza n. 4670/2019 ha confermato questa tendenza.  Non solo ha ritenuto legittimo il licenziamento di un dipendente che aveva usato impropriamente permessi di cui alla Legge n. 104/1992, ma ha ritenuto egittimo anche il ricorso ad agenzie investigative per consentire al datore di lavoro di  venire a conoscenza di comportamenti impropri del lavoratore.

    Lo Statuto dei Lavoratori (Legge 300/1970), ex artt. 2 e 3, preclude al datore di lavoro di demandare controlli sull’attività lavorativa  a soggetti esterni, diversi dal personale interno addetto alla vigilanza dell’attività lavorativa, i cui nominativi e mansioni devono essere comunicati  ai lavoratori interessati.

    La Suprema Corte, con l’ordinanza suddetta, ha precisato che non sono, invece, preclusi i controlli demandati dal datore di lavoro ad agenzie investigative, laddove non riguardino l’adempimento della prestazione lavorativa, ma siano finalizzati a verificare                                                                                                comportamenti illeciti, fraudolenti, penalmente rilevanti, fonti di danno per il datore di lavoro stesso.

    Non occorre, inoltre, la reiterazione di un comportamento  illecito, ma è sufficiente un solo sospetto o una mera ipotesi.

    In particolare, con riferimento alla fruizione dei permessi ex legge n. 104/1992, la giurisprudenza ha evidenziato più volte che se il lavoratore subordinato si avvale di un permesso non per assistere un familiare ma per altri scopi personali, integra l’ipotesi dell’abuso di diritto. Il divieto di diverso utilizzo, peraltro, non si limita al monte ore lavorativo, ma si estende all’intera giornata, ore notturne incluse.

    Peraltro, è di tutta evidenza come nell’abuso dei permessi 104 sia ravvisabile il reato di truffa. Tale abuso, del resto, non solo costituisce comportamento grave, lesivo del rapporto fiduciario, in danno del datore di lavoro, ma anche del sistema previdenziale pubblico. L’indennità  spettante, infatti, sebbene anticipata dal datore di lavoro, è erogata dall’Ente Previdenziale.

    Il dipendente infedele, che abusi della Legge 104, rischia quindi il licenziamento per giusta causa e una denuncia per truffa ai danni dello Stato (Ente Previdenziale e Sistema Sanitario Nazionale) nonché la decadenza di tutti i benefici concessigli in virtù di tale legge, con conseguente restituzione di tutte le somme indebitamente percepite sino allora.

     


    Offende il datore di lavoro sui social.

    E’ legittimo il licenziamento di chi offende il datore di lavoro sui social

    Entro quali limiti un dipendente può esprimersi criticando, fino agli insulti, l’azienda per la quale lavora? Può un semplice “sfogo”  contro il proprio datore di lavoro comportare gravi conseguenze disciplinari?Si discute da tempo, ormai, nei Tribunali e non solo sulla gravità degli insulti pubblicati sui social, canali potenzialmente illimitati, grazie ai quali la diffamazione si amplifica.

    L’ordinanza n. 28878 del 12/11/2018 della Cassazione Civile, Sezione Lavoro, conferma l’orientamento giurisprudenziale ormai prevalente secondo il quale la condotta extralavorativa di un dipendente, qualora abbia portata pubblica, insita nelle potenzialità indeterminate dei social networks, può avere rilevanza disciplinare fino alle estreme conseguenze del licenziamento per giusta causa.

    La sentenza in oggetto, infatti,  conferma quanto già deciso dapprima dal Tribunale di Alessandria e poi dalla Corte di Appello di Torino, che avevano rigettato la domanda di un dipendente atta al riconoscimento dell’illeggittimità del licenziamento disciplinare intimatogli, a seguito della pubblicazione su Facebook di immagini e contenuti di natura offensiva nei confronti della società da cui dipendeva e dei suoi dirigenti.

    Invocare un divieto di interferenza nella vita privata, ex art. 8 L. 300/70, peraltro, è risultato vano, stante la potenzialità diffusiva di quanto postato che interessa non per accertare le opinioni del lavoratore bensì atteggiamenti rilevanti per la verifica delle sue attitudini professionali.

    In sostanza, la gravità dell’offesa è amplificata dalla dimensione pubblica della stessa, in considerazione delle potenzialità di diffusione, immediate e indiscriminate, dei post sui social network.

    Come già con la precedente sentenza n. 10280 del 27 aprile 2018, la cassazione afferma e conferma che “…la diffusione di un contenuto diffamatorio tramite una bacheca Facebook integra un’ipotesi di diffamazione, per la potenziale capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone…”.

    Il rilievo disciplinare del comportamento extralavorativo suddetto, trova conferma nel dovere di fedeltà, ex art. 2105 c.c. nonché con i canoni di lealtà, buona fede e correttezza, ex art. 1175 e 1375 c.c..

    Ne consegue, quindi, per il dipendente sia il dovere di astensione dai comportamenti espressamente vietati dalla legge sia da quanto in contrasto con i doveri di inserimento del lavoratore stesso nella struttura organizzativa dell’impresa, in quanto lesivi del presupposto fiduciario del rapporto di lavoro, quando non addirittura in conflitto rispetto alle finalità e agli interessi della società datrice.

    In conclusione, poiché sempre più i social network fanno parte della nostra vita quotidiana, prima di rovesciare un torrente di insulti e di critiche pesanti contro l’azienda per cui si lavora, è opportuno che un dipendente valuti bene se e cosa scrivere, sapendo che si assume la responsabilità delle possibili, anche gravi, conseguenze del proprio “sfogo” mediatico.


    La clausola detta  “Russian Roulette”.

    La clausola detta “russian roulette clause” nelle societa’ di capitali.  Lo stallo decisionale (dead-lock) è un’ipotesi di impasse societario che, nei fatti, determina l’ingovernabilità di un’azienda.  Questo è un caso non raro, soprattutto nelle società di medie dimensioni e/o familiari, spesso strutturate con capitale sociale ripartito in misura paritetica e, magari,

    un coinvolgimento diretto anche alla gestione aziendale, ad esempio con partecipazione al Consiglio di Amministrazione con parità di poteri.

    Una società così costituita, funziona finché gli azionisti concordano sulle strategie aziendali. In caso di dissidio, però, entra in una situazione di paralisi spesso insanabile. per questo, sempre più spesso, viene inserita nei patti parasociali, una clausola con lo scopo di superare possibili situazioni di paralisi societaria, è la cosiddetta russian roulette.

    Per sua intrinseca caratteristica, questa clausola assicura un equilibrio negoziale, garantito dal fatto che, a prescindere dal criterio per determinare il valore delle quote, la scelta tra l’acquisto o la vendita spetta alla parte che non ha fissato il prezzo.

    In sostanza, il meccanismo della roulette russa si innesca così: in caso di stallo decisionale della società, il socio che lo vuole superare fissa il prezzo per l’acquisto delle quote dell’altro socio che può accettare di vendere o esercitare il diritto di comprare egli stesso allo stesso prezzo le quote del socio offerente (o socio “suicida”).

    Se è vero che da un lato la parte ha il potere di assumere l’iniziativa di determinare il corrispettivo per la compravendita delle azioni, dall’altro la parte oblata ha il diritto potestativo di approfittare, in un modo o nell’altro, di eventuali valutazioni erronee sia in eccesso che in difetto.

    Pertanto, l’effetto espropriativo prodotto dalla russian roulette clause è, in ultima analisi, rimesso al socio uscente, al quale spetta la decisione del tipo di operazione da compiere, a prescindere dai criteri oggettivi assunti per la determinazione del prezzo.

    Questa clausola, circa un anno fa, è stata oggetto di una interessante quanto importante sentenza di merito.

    Con la pronuncia n. 19708 del 19 ottobre 2017, infatti, la Sezione Imprese del Tribunale di Roma ha ritenuto valida e legittima la russian roulette clause, in quanto funzionale a risolvere lo stallo decisionale ed evitare la contestuale dissoluzione dell’azienda.

    Dopo un’approfondita analisi e puntuale argomentazione di tutte le contestazioni presentate contro la clausola in esame (che qui non riportiamo), i Giudici ne hanno sancito la validità ed efficacia, in quanto “negozio legislativamente atipico, di cui va verificata la validità in termini di liceità e di rispondenza ad interessi meritevoli di tutela per l’ordinamento”.

    In conclusione, l’applicazione di questa clausola consente di evitare il rischio di dissoluzione della società con un criterio equo. Infatti, da un lato consente ad un socio che ancora crede e ha interesse nel progetto dell’impresa di avanzare una proposta d’acquisto (che dovrà necessariamente avere valori equi, stante la possibilità del diritto di acquisto da parte del destinatario di questa), mentre l’altro socio  può decidere di abbandonare la compagine sociale o, se lo ritiene più conveniente, acquistare lui la partecipazione dell’offerente, all’importo da questo stabilito.

     


    Danni derivanti da turni gravosi.

    Il danno non patrimoniale puo’ essere liquidato con il solo danno biologico che contiene in se anche il danno morale ed esistenziale.

    La Cassazione è intervenuta sul danno subito dai medici dell’ASL per turni gravosi.

    Il cosiddetto danno non patrimoniale costituisce per la Cassazione una categoria unitaria, non la somma di varie voci, da invocare individualmente con l’intento di aumentarne la quantificazione (Cass.n. 687/2014).

    Vediamo nel dettaglio quali sono le componenti principali del danno  non patrimoniale:

    • danno biologico, ossia lesione alla salute;
    • danno morale, inteso come la sofferenza interiore:
    • danno dinamico-relazionale, cioè esistenziale.

    Queste categorie, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, costituiscono componenti di un unico “danno non patrimoniale” e vanno valutate globalmente, non per singole voci.

    Il soggetto che si ritenga danneggiato e intenda ottenere la liquidazione per una o più delle voci di danno suddette, deve quindi provarle come insieme e non singolarmente, così che il giudice possa liquidare complessivamente il danno non patrimoniale, in base al caso concreto.

    Tale concetto è stato chiaramente confermato dalla Cassazione con la sentenza n. 7840 del 29.03.2018, sentenza che può essere considerata storica per il fatto che condanna una Asl al risarcimento per danno biologico, derivante da turni gravosi.

    Due medici in servizio presso l’Asl di Latina, costretti per un lungo periodo a turni gravosi causa carenza di personale, lamentata l’insorgenza di una sindrome ansioso-depressiva, fanno causa alla Asl per ottenere il risarcimento del danno biologico (in quanto lesione della salute psico-fisica).

    Sarà la Corte d’Appello di Roma, contrariamente a quanto stabilito dal Tribunale di Latina, ad accertare l’inadempimento della Asl in qualità di datore di lavoro e condannare la stessa al risarcimento del danno biologico subito dai due medici, considerato l’8% per i postumi permanenti.

    I due sanitari, decidono di impugnare in Cassazione la parte di sentenza che non aveva liquidato il danno morale ed esistenziale, avendo riconosciuto solo quello biologico.

    La decisione della Corte di cassazione respinge, quindi, il ricorso, confermando il principio di diritto sulla globalità del danno non patrimoniale.

    Conferma, però, il diritto del dipendente ad una organizzazione del lavoro rispettosa del recupero psicofisico  e, in caso contrario, al risarcimento del danno derivante.

     


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